Viale delle Cascine 152/F, 56122 Pisa – Italia
Viale delle Cascine 152/F, 56122 Pisa – Italia
050586111
Di Pubblicazioni |0 commenti
|inArticolo scritto dalla Dr. Barbara Del Bravo, estratto dal numero 4/2017 della Rivista di informazione senologica Sassi e Piume.
La menopausa, definita come la cessazione della ciclicità mestruale a seguito della perdita della funzione ovarica, non è una malattia, ma una tappa fisiologica importante nella vita di ogni donna ed è indiscutibilmente un evento naturale. Ma un evento naturale è sempre una cosa necessariamente positiva anche quando genera disagi o sintomi che vanno a peggiorare la salute e/o la qualità della vita delle donne? Ormai da molti anni sappiamo che la terapia più efficace a tale scopo è la terapia ormonale sostitutiva (TOS) come confermato dalle “Raccomandazioni della International Menopause Society (ISM) su salute delle donne e TOS” pubblicata su Climateric nel 2016. E’ negli anni '80 che si comincia a parlare di TOS per la menopausa come dell’elisir di lunga vita: tutte le donne una volta arrivata la menopausa, a prescindere dall’età di insorgenza e dalla sintomatologia, sembrava dovessero iniziare la TOS e protrarla all’infinito nel tempo. |
Poi all’inizio del nuovo millennio ecco invece arrivare la doccia fredda con gli studi americani, primo fra tutti il Women Health Initiative (WHI), sugli effetti della TOS in donne tra i 50 e i 79 anni trattate con estrogeni coniugati equini ed un progestinico quale il medrossi progesterone acetato (MAP) per via orale. Lo studio, programmato per 8 anni è stato interrotto dopo 6 anni per risultati che denunciavano aumento di rischio cardiovascolare e mammario. A seguire, nel 2003 è stato pubblicato il Million Women Study in cui si ribadiva l’incremento di rischio di carcinoma mammario nelle utilizzatrici di TOS.
Dopo 14 anni dalla pubblicazione di questi risultati siamo ancora qui a discutere sulla "pericolosità" della terapia ormonale sostitutiva in post menopausa.
Ma è proprio vero che “fa così male” assumere estrogeni almeno per quelle donne con sintomi legati alla menopausa o che, ancor peggio, vanno in menopausa troppo precocemente? E se si, tutte le terapie sono ugualmente pericolose nell’aumentare il rischio di carcinoma? (estrogeni da soli o associati a progestinici, differenti dosaggi, diverse vie di somministrazione, uso di molecole alternative..).
Vediamo in primo luogo perchè le donne vengono dal ginecologo dicendo che preferiscono star male ma che “assolutamente no ormoni!!!". Di cosa hanno paura? Nell’immaginario collettivo, sostenuto da un’informazione troppo spesso approssimativa, superficiale e “scoopistica”, “gli ormoni” e tra questi ovviamente gli estrogeni in prima linea (chi ha paura degli ormoni tiroidei?) sono invariabilmente associati al cancro e soprattutto al cancro mammario. Siamo tutti consapevoli della forza con cui i media condizionano i nostri comportamenti anche nelle scelte di salute (diete, integratori e chi più ne ha più ne metta!). Nel nostro caso, il messaggio di una relazione diretta tra estrogeni e cancro ha creato una situazione di allarme per la quale molte donne hanno rinunciato ad utilizzare terapie che avrebbero migliorato la loro salute e, di conseguenza, la loro qualità di vita.
A mio avviso occorre pertanto fare chiarezza sulla reale portata dei risultati delle pubblicazioni scientifiche e soprattutto sulla necessità di rendere i dati della scienza chiari e comprensibili non solo ai professionisti ma anche agli utilizzatori finali. Lo stesso numero, lo stesso concetto possono avere traduzioni profondamente diverse che condizionano poi le scelte individuali.
Uno dei problemi cardinali, dopo la pubblicazione del WHI, è stata proprio la inadeguata lettura del “rischio relativo” da parte dei media. Per esempio, l’aumento del 26% del rischio relativo di cancro alla mammella nelle pazienti trattate con estrogeni e progestinico in questo studio, va tradotto nel rischio reale di meno di un caso in più per 1000 donne che per un anno effettuano la TOS. Questa, secondo le Società scientifiche è l’unica modalità con cui citare i dati: corretta nella sostanza ma insieme facile da capire per chi non sia ferrato in statistica, senza creare inutili allarmismi. Tuttavia, molti si chiedono: questo quasi 1 su mille è tanto o poco? Come intendere la “gravità” di questo numero?
Su questo fronte è venuta in soccorso la task force del Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS). Nel 1998, questa associazione ha pubblicato una classificazione dei rischi, così da aiutare sia i professionisti della salute, sia i media, a interpretare correttamente i dati emersi dagli studi clinici. In questo contesto, i rischi vanno così “pesati”:
<1/1.000 = evento raro, <1/10.000 = evento molto raro.
E’ quindi evidente che questa lettura consente di ridimensionare il problema e di classificare la maggioranza degli eventi avversi indotti dalla TOS come rari o molto rari. Intanto ciò che si è verificato è stato che, a fronte di una alta percentuale di donne in menopausa sintomatiche sia per sintomi vasomotori, disturbi psichici o del sonno, sintomi da distrofia genitourinaria, osteoporosi, alterazioni metaboliche, ipertensione, ipercolesterolemia, aumento di peso con distribuzione del grasso da ginoide (fianchi e glutei) ad androide (pancia), la percentuale di donne che accettano di fare TOS non supera il 3%. La motivazione è la paura del cancro al seno nella stragrande maggioranza dei casi.
Ma anche qui... è proprio di cancro che muoiono prevalentemente le donne? Se da una parte è vero che la menopausa è un momento della vita in cui l’incidenza di patologie tumorali è particolarmente elevata, con il tumore al seno che nelle donne fa la parte del leone seguito da colon retto e utero, è pur altrettanto incontestabile che la prima causa di morbilità e mortalità nel sesso femminile tra i 50 ed i 75 anni è la malattia cardiovascolare. Se analizziamo i dati ISTAT sulla mortalità nel nostro paese al 2014 appare evidente come il 46% delle donne, di fatto una su due, muore per malattie cardiovascolari (infarti, trombosi, ictus) mentre il 4% muore per un tumore al seno. Durante tutto il periodo della vita fertile la donna è protetta dal rischio di soffrire di malattie cardiache ed arteriose grazie alla produzione di estrogeni. In questo periodo la possibilità di andare incontro ad un evento cardiaco è mediamente 6-10 volte inferiore a quella del maschio della stessa età. Con la cessazione della funzione ovarica, il ruolo protettivo esercitato dagli estrogeni scompare e, contemporaneamente, il rischio di ammalarsi di patologie cardiovascolari aumenta portandosi, per incidenza, allo stesso livello di quello che si ha negli uomini e per gravità spesso a livelli superiori. La prevenzione delle patologie cardiovascolari non è però al momento inclusa tra le indicazioni alla TOS, nonostante l’analisi dei dati più recenti della letteratura dimostri l’esistenza di un effetto sicuramente protettivo se l’uso degli estrogeni è iniziato precocemente (tra i 45 ed i 58 anni) con una riduzione del 52% del rischio cardiovascolare come dimostrato dai dati di uno studio danese su oltre 1000 donne trattate con TOS e pubblicato sul British Medical Journal. In più, la scarsa percezione dell’importanza e gravità della patologia cardiovascolare nell’immaginario femminile porta a sottovalutare il peso che errati stili di vita hanno nel determinare la nostra salute (obesità, sedentarietà, fumo di sigaretta, dieta ricca di grassi saturi, abuso di alcool e carboidrati etc).
Ma torniamo ai nostri ormoni. Sembra ormai esserci accordo unanime in letteratura sul fatto che l’uso di estrogeni da soli, anche per periodi di tempo prolungati dopo la menopausa, non determina alcun effetto sul rischio di tumore mammario. Persino il famigerato studio WHI ha evidenziato un rischio minore di carcinoma mammario con l’uso giornaliero di 0.625-mg di estrogeno equino coniugato rispetto al placebo; dato confermato da rigorosi studi prospettici controllati condotti sia in donne americane che danesi, che hanno utilizzato la terapia sostitutiva con soli estrogeni perché precedentemente isterectomizzate per varie patologie benigne.
Nel 2007 i dati pubblicati sul Breast Cancer Research su 3175 donne francesi in TOS transdermica con soli estrogeni non evidenziavano nessun aumento di rischio di carcinoma mammario nelle utilizzatrici dopo 9 anni.
Questa terapia può essere però utilizzata solo nelle donne precedentemente isterectomizzate perché altrimenti avremmo un aumentato rischio di carcinoma dell’endometrio, rischio completamente azzerato dall’associazione con qualunque tipo di progestinico dal progesterone naturale per via vaginale ai vari progestinici orali. La TOS combinata (estrogeni + progestinico) aumenta invece il rischio di carcinoma della mammella in maniera significativa solo dopo 5 anni di utilizzo; tale rischio aggiuntivo persiste per i 5 anni successivi alla sospensione e si azzera dopo tale periodo. Il ruolo dei progestinici nel carcinoma della mammella è quindi oggi di grande attualità, anche se i dati appaiono ancora contrastanti, in particolare sul tipo di progestinico utilizzato (MAP, diidrogesterone, nomegestrolo, progesterone naturale micronizzato etc.), sullo schema di trattamento (sequenziale o combinato continuo), e sul tipo di terapia estrogenica associata(orale o transdermica). Nel 2008 sempre il Breast Cancer Research pubblica il dato sul MAP come progestinico di sintesi a maggior rischio per carcinoma mammario. Al contrario, studi francesi in cui vengono utilizzati trattamenti con estrogeni transdermici in associazione a progesterone naturale micronizzato sembrano evidenziare un aumento di rischio meno significativo. Una nuova strategia terapeutica è data dall’associazione di estrogeni col basedoxifene molecola che, come il tamoxifene, che viene utilizzato nel trattamento del carcinoma mammario estrogeno sensibile, è un inibitore selettivo dei recettori estrogenici (SERM). Tale associazione consente di trattare efficacemente i sintomi menopausali e prevenire l’osteoporosi evitando l’uso dei progestinici anche nelle donne con utero, perché il basedoxifene contrasta gli effetti stimolatori che gli estrogeni hanno su questo tessuto.
Un ultimo dato importante è che non c‘è differenza di mortalità per carcinoma mammario tra donne trattate e non trattate, il che indica sia la minore aggressività dei tumori diagnosticati in corso di TOS, sia il vantaggio della diagnosi precoce, trattandosi di donne in genere ben monitorate dal punto di vista clinico e mammografico. Un dato certo è invece la riduzione d’incidenza del carcinoma del colon retto nelle donne sottoposte a TOS come dimostrato in numerosi studi osservazionali e nel gruppo trattato dello studio WHI. Per quanto concerne il carcinoma dell’endometrio la TOS bilanciata non ne aumenta assolutamente il rischio. Infatti proprio la protezione dell’endometrio è al momento l’unica indicazione all’uso dei progestinici. I dati della letteratura scientifica riportati dimostrano come il tema del rapporto tra TOS e rischio di carcinoma della mammella sia estremamente controverso e a rischio di comportamenti non sufficientemente razionali.
Ecco perché mi sembra importante, a questo punto, riportare le ultimissime raccomandazioni della ISM pubblicate nel 2016 per quanto concerne la salute delle donne in menopausa che devono rappresentare il riferimento più aggiornato per le nostre scelte:
Clicca qui per scaricare l'articolo pubblicato sulla rivista Sassi e Piume.